giovedì 26 marzo 2015

toto, "xiv"



nove anni, vari tour, cambio di cantante, cambio di batterista, ritorno di steve e morte di mike porcaro… ne è passata di acqua da 'falling in between', piaciuto a molti, snobbato da altri come pasticcio modernista con poco a che fare coi toto. eppure i toto sono ancora qui, nonostante tutto ancora in piedi, ancora insieme, ancora ad insegnare a tutti come si fa a fare… quello che fanno loro. lo chiamiamo rock? pop-rock? jazz rock? fusion rock? ma dobbiamo per forza chiamarlo in qualche modo? chiamiamolo allora toto-rock, sembra una lotteria ma temo sia l'unica definizione possibile.

'xiv' arriva per riportarci la voce cristallina e pazzesca di joseph williams (figlio di john williams. sì, QUEL john williams), per restituirci i synth vintage di steve porcaro, farci riascoltare il ritorno del redivivo dave hungate e ovviamente per regalarci la magia di lukather e paich, le armonie vocali, i ritornelli e tutto il resto. 
spazziamo via subito i dubbi: come canzoni ci troviamo di fronte al miglior disco del gruppo da 'the seventh one' a oggi, senza dubbio. suona toto in tutto e per tutto, dalla prima all'ultima nota, tralasciando le smetallate di 'falling in between', massacrando in composizione 'mindfields', polverizzando per ispirazione 'tambu' e battendo anche 'kingdom of desire', almeno in termini di suono toto.

mattatore assoluto è l'incredibile joseph williams, in forma vocale incredibile, con le sue interpretazioni dà ai pezzi quel quid in più che lo spompo kimball ormai non poteva più dare. ottima anche la prestazione del nuovo keith carlock dietro alle pelli che non fa rimpiangere un mostro come phillips e, anzi, si avvicina di più come stile e groove all'inarrivabile jeff. steve porcaro da parte sua riporta quell'equilibrio pop che era mancato negli ultimi 20 anni coi suoi arrangiamenti incredibili e suoni da un'altra epoca.

i pezzi sono tutti belli, nessuno è veramente debole, è solo questione di gusti. secondo questa logica vi dirò che per me burn, orphan, great expectations e soprattutto le immense chinatown e fortune sono instant classics che vanno subito nell'ideale best of della band, già decisamente carico di materiale.
quindi vi ho detto di tutte le cose bellissime che ci sono nel disco, arriviamo al punto dolente. prese e mix sono perfetti nel creare strati sonori ricchissimi di particolari e sfumature… che un mastering CRIMINALE tenta in ogni modo di massacrare. sinceramente non mi spiego come musicisti di questo calibro possano aver accettato un master che sembra fatto da un imbecille sotto acidi: compressori che schiacciano ogni dinamica a causa di basse pompate oltre ogni dire (il ritornello di all the tears that shine è letteralmente ucciso da questa stronzata), attacchi distrutti e perfino un'insopportabile frequenza che si protrae per tutta l'(ottima) opener running out of time (se vi interessa è a 16200hz, io l'ho tolta con un eq e mi sono rimasterizzato il cd). queste sono cazzate amatoriali che ti aspetti da gruppetti in erba (in tutti i sensi) e da studi da quattro soldi, non certo da una produzione milionaria dei toto fatta in studio a los angeles. il criminale in questo caso si chiama peter doell e, non a caso, ha lavorato a dischi di pop della più bassa lega: marilyn manson, celine dion, kenny g e altre analità di questo tipo. certo, senza il permesso della band non avrebbe potuto fare niente, resta quindi l'enigma: di preciso, cosa cazzo gli è passato per il cervello? questo non è, come qualcuno di ignorante ha detto, una produzione 'moderna e scintillante', questo è un omicidio delle dinamiche e del suono, è uno stupro della classe dei toto.

nonostante ciò il disco ne esce vincitore e dubito che qualcuno lo scalzerà dalla vetta della mia classifica del 2015. pensate quanto sono belle le canzoni per riuscire a sopravvivere a tutto ciò. 

bravi, cazzo.