martedì 15 aprile 2014

roadburn festival 2014, 10-13 aprile, 013 venue, tillburg, olanda



visto che la maggiorparte di voi non leggerà mai tutto questo report, parto dalla fine: il roadburn è il festival più bello che abbia mai visto. per qualità, organizzazione, gruppi, suoni e luogo, gli caga in testa a qualsiasi stronzata gli italiani abbiano mai provato ad organizzare. su 26 gruppi che ho visto, UNO SOLO ha ritardato per motivi tecnici, i suoni sono sempre stati perfetti, adattandosi di volta in volta al gruppo che suonava. la cosa stupenda è che il festival mette ogni gruppo in condizione di esprimersi al suo meglio senza dover pensare ad altro.
l'emblema del festival è arrivato durante il secondo concerto degli yob. mike scheidt chiede dal palco "where's my beer?", qualcuno dal pubblico risponde "where's my face?".
ma andiamo con ordine.

giorno 1

all'inizio del festival ci perdiamo qualche gruppo per una gita obbligata a rotterdam, vista l'impossibilità per gli stranieri di accedere ai coffee shop della provincia locale.
il tutto inizia quindi con l'insolita prestazione dei napalm death che presentano tutti quei pezzi che normalmente non fanno live, i mid tempo marci ed angoscianti del periodo fear emptiness despair per intenderci. il gruppo rivela un'inedita dinamicità sul palco, con una prestazione maiuscola del "solito" barney e il suo latrato devastante che guida il gruppo in quello che è forse il primo concerto in carriera senza neanche un blast beat. complimenti, ci avete aperto in 4.

tempo per una rapidissima pausa e poi subito veniamo assaliti in quello che si rivelerà uno dei 2-3 migliori concerti del festival: i corrections house.
tutti in divisa nera con il simbolo del gruppo sparso ovunque sul palco, i quattro americani danno vita ad uno show massacrante per volumi ed intensità; la chitarra di scott kelly deve sopperire all'assenza del basso per cui copre uno spettro di frequenze pazzesco mentre williams sbraita come un ossesso i suoi testi di marciume e schifo, straziati dagli interventi del sax infernale di sanford parker. un vero e proprio massacro che ci lascia con un sorriso ebete in faccia.

i crowbar, come loro solito, salgono sul main stage e colano sul pubblico un'ondata di melma ribollente fatta di riff massicci e ritmiche quadrate sulle quali kirk "canta" con la sua vociaccia lercia. bello, bravi.

per chiudere il primo giorno, una piccola delusione: aspettavo molto i bong, su disco mi piacciono davvero tanto ma la loro prestazione (pur perfetta come suoni, ovviamente) si rivela monodinamica e alla lunga stufa, complice anche una non certo esplosiva presenza scenica. bel magma sonoro ma purtroppo la noia arriva verso metà concerto, peccato, rimandati. 

ce ne torniamo quindi spipacchiando verso il campeggio, soddisfatti da questo antipasto/prima portata.

giorno 2

il venerdì è il giorno del curatore, che quest'anno è il signor åkerfeldt, il quale oncluderà infatti il giorno con una buona prestazione degli opeth a cui arriveremo a suo tempo.
il giorno si apre subito con quello che per me è stato il milgior concerto di tutto il festival: grazie mikael per averci portato i magma.

i francesi salgono sul palco senza presentazioni né introduzioni e attaccano subito con un nuovo pezzo inedito e per tutto il concerto il flusso sonoro sarà indescrivibile. un padronanza delle dinamiche incredibile, partiture folli che si incastrano in arrangiamenti che sono opera d'arte a sé, tecnica mai e poi mai fine a se stessa ma messa al servizio dell'emozionalità dei brani che nel giro di due battute passano dal minaccioso violento al dolce cullare in 6/8 di voci angeliche. su tutto spicca una sezione ritmica da mascella per terra composta dal batteraio fondatore christian vander dal tocco puramente jazz-rock di vecchia scuola, con un gusto sublime, e dal bassista philippe bussonnet, semplicemente uno dei migliori bassisti che abbia mai visto in vita mia: tecnica ineccepibile, groove ficcante e suono potente e pieno, veramente un maestro.

ovviamente è dura suonare dopo uno spettacolo del genere ma se il nome del gruppo dopo è comus, il grado di difficoltà scema notevolmente. 

altri grandi riesumati del giorno, li attendevo con impazienza avendoli già visti in svezia nel 2008 (di fianco ad un entusiasta lee dorrian) prima della pubblicazione dell'ultimo, bellissimo "out of the coma". la formazione è rimasta invariata e 5 su 6 sono gli stessi musicisti che diedero vita a quella gemma unica chiamata "first utterance" nel 1971. proprio da lì viene presa la maggiorparte del materiale suonato magistralmente dal sestetto, gradito stacco dalla pienezza media del suono roadburn: le acustiche di wootton e goring si incastrano in pura magia mentre le voci, angelica quella di bobbie watson, acida e maligna quella di roger wootton, disegnano melodie senza tempo. "semplicemente" grandiosi.

c'è poi un'altra mia personale delusione: da anni speravo di vedere dal vivo gli änglagård, il cui "hybris" ritengo ad oggi uno dei migliori dischi progressive degli anni 90. purtroppo invece dal vivo li ho trovati troppo freddi e distaccati, troppo manieristici e poco coinvolgenti. non era certo un problema di suoni, come sempre assolutamente perfetti, più un'aria di saccenza che si innalzava dal palco. amen, peccato, pausa e poi goblin.

sui goblin (o meglio, claudio simonetti's goblin) c'è parecchio da dire. innanzitutto quella distinzione nel nome non è fatta tanto per: oggi i veri goblin (almeno per nome) non esistono, per cazzi legali che non sto a spiegare anche perché non c'ho capito un cazzo nemmeno io… la formazione praticamente è quella dei daemonia, gruppo con cui simonetti propone versioni riarrangiate dei grandi classici. 

proprio in questi riarrangiamenti sta un grosso problema: per dire, io la doppia cassa in suspiria non me la ricordavo. tutto viene intamarrito e metallizzato ma le versioni originali restano ad anni luce di distanza. inoltre il fatto che un gruppo del genere faccia un uso tanto limitato di proiezioni durante lo show è ridicolo, così come gli spezzoni di 2-3 minuti ripetuti a loop ogni tanto durante i pezzi. gli unici italiani che ho visto al festival hanno fatto proprio la figura degli italiani. ciò non toglie che lo spettacolo diverte e coinvolge il pubblico, incluso mike degli opeth tra le prime file.

a questo punto ci dirigiamo verso il ristorante più di classe della zona, il sublime kfc di tillburg, decidendo di battercene la ciolla dei candlemass che fanno per intero un disco sottotono. in realtà vedremo poi un paio di pezzi e il gruppo sembra decisamente informa, guidato da mats levén e, per uno dei due pezzi da me visti, dal cantante dei primordial il cui nome non ho voglia di copiare. bravi ma la pausa era dovuta.

ci infiliamo quindi al patronaat dove sta suonando sula bassana col suo gruppo. gran volumata pissichedelica che inonda la stupenda sala e fa ciondolare tutte le teste, gran bel trip, bravi.
qui poi io attendevo tantissimerrimo ma proprio tanto i terra tenebrosa, essendo la cosa più vicina ai breach che si possa vedere al giorno d'oggi. purtroppo per qualche problema tecnico, il concerto ritarda di ben 20 minuti (che in italia dici "e sticazzi?", qui è un ritardo mostruoso e inaccettabile. sai, quando il tutto è organizzato da professionisti….).

per questo il pubblico si è un po' spazientito (me incluso) e quando il gruppo è finalmente apparso sul palco, il fatto che la voce fosse pressoché inaudibile ha indispettito non poco. ho visto tre pezzi, gli svedesi hanno una grande presenza scenica grazie a maschere e cappucci e un sacco di fumo, il loro però è un muro di suono distorterrimo e cubico che a fine giornata risulta molto presto pesante. non ne dico male perché i dischi li adoro e comunque può essere colpa della mia stanchezza, però non mi hanno detto molto, li attendo in altre condizioni.

allora mi butto al main stage dove stanno suonando gli opeth. 

il gruppo appare in gran forma, mike è dimagrito un bel po' e la prestazione generale è sicuramente ottima. certo, per un'occasione del genere poteva esserci un po' più sforzo per proporre una scaletta particolare (mi aspettavo almeno un pezzo nuovo vista l'imminente uscita…), invece la band si limita a una normale scaletta degli opeth, con anche puntatine negli scadenti damnation e watershed. almeno c'è stata una gran chiusura con "blackwater park".
poi la stanchezza prende il sopravvento e ci si ritira nella casetta nel bosco, il terzo giorno non sarà leggero.

giorno 3

daje daje, ci si intrufola nella batcave per vedere 15 minuti di e-musik gruppe lux ohr, solo per il nome. sono ovviamente un trip ectro-kraut-stikazzen stupendo per iniziare la giornata, synth e piruliruliruli vari che spinolano, sdruillano, sberluccicano, pullulano e sghirivizzano.

al contrario invece dei canadesi monster truck che incontriamo poi nella green room, southern rock estremamente 70, ritornelloso e con un gran tiro, assolutamente consigliati se passano dalle vostre parti.
poi mentre vagavamo per il mercatino, qualcuno ci dice "oh al patronaat ci sono degli imbecilli in tutina che fanno cose strane". ovviamente ci fiondiamo per vedere suddetti imbecilli, che si rivelano poi essere i circle. sfuggenti è la parola che mi viene in mente. peculiari, ecco. vestiti effettivamente in tutine colorate e borchie, guidati da un cantante in tuta azzurra, occhiali da sole e catena d'oro, li troviamo intenti in una parte atmosferica creepy e dilatata, "avanguardista" se vogliamo usare i paroloni. poi esplodono in un delirio metal noise grind tipo strapping young lad negli anni 80 o… boh. qualcosa. seriamente, non c'ho capito una fava (ero ovviamente soberrimo e pienamente in possesso delle mie facoltà mentali) ma mi sono divertito un sacco.

distrutti dall'esperienza, facciamo una capatina alla green room per vedere un po' di gozu che tamarreggiano duro, prima di piantarci davanti al main stage per l'avvento degli yob. mike scheidt è dall'inizio del festival che gira tra la gente, chiaccherando con tutti amabilmente (ora ha un paio di dischi dei king bong, oh yeah.).

una persona gentilissima. però poi sale sul palco (oggi per suonare per intero "the great cessation") e diventa qualcos'altro. avevo visto gli yob al lo-fi a milano (che oggi mi sembra una squallida bettola adatta forse al liscio per l'acustica che ha) ed era stato bello. oggi non so bene come raccontare quello che è successo sul palco. quei tre avevano un suono che riempiva ogni minimo spazio esistente, tremava qualsiasi cosa potesse tremare, una cosa del genere non l'ho mai sentita, nemmeno a un concerto dei sunn O))). la voce di scheidt lacera il buio con le sue urla mostruose mentre dalla sua chitarra escono cose che cthulhu avrebbe timore di nominare. grazie yob per tutte le ossa che ci avete tritato.

questo è un buon momento per una pausa cibo. oggi pensiamo alla salute per cui goodbye kfc, hello kebab.
al nostro appesantito (anche per il cibo) ritorno, ci si intrufola nel patronaat per quella che sarà una delle sorprese più belle del festival, ovvero i devastanti indian. 

gli americani aggrediscono duro con uno sludge violentissimo, urla lancinanti e riffazzi putridi e lo fanno con una carica animale che solleva ovazioni enormi (tutte meritate) tra il pubblico. uno di quei gruppi che "molto bello il disco ma se li perdete live siete stronzi". sapevatelo.

ci godiamo a questo punto un po' del trip dei loop, più per dovere di cronaca vista l'occasione che altro. a me fanno lo stesso effetto dei loro dischi, bello un pezzo, carino un altro, poi basta, sono tutti uguali. c'è comunque da notare come il main stage si adatti perfettamente ai suoni del gruppo, decisamente diversi dalla media.

proviamo a vedere qualcosa degli enfant prodige the vintage caravan, ragazzini islandesi che pestano un bel po' in maniera molto fortemente seventies. purtroppo però la batcave è strapiena e dopo un paio di pezzi fuggiamo, decidendo di tornare al main stage dove si preparano gli americani harsh toke.

altro gruppo palesemente più adatto al live che al disco, la formazione si basa su riff ripetuti all'inverosimile sui quali si rovesciano gli assoli casinari dei due chitarrai. poco altro da dire, un viaggio bellissimo di un'ora abbondante in posti tutti colorati, perfetta conclusione per la giornata.

giorno 4: afterburner

l'ultimo giorno di festival ha dei ritmi decisamente più umani, limitando il tutto a tre sale invece che 5.
vediamo un po' di aqua nebula oscillator, carini ma un po' troppo ripetitivi nelle idee, poi ci svacchiamo al secondo piano del main stage per vedere lo spettacolo tributo al deceduto selim lemouchi. formazione enorme (due batterie,  quattro chitarre, un basso, due tastieristi più voce solista, sorella di lemouchi), gli "enemies" propongono uno show intenso ed emozionale, molto pinkfloydiano e morbido, che ci piace assai, non sapendo nulla né di loro né del loro compianto leader.

saltiamo in pieno gli avatarium e vediamo invece una mezzoretta dell'interessantissima collaborazione chiamata the papermoon sesisons, ovvero jam collettiva con membri di papir ed electric moon. gente che sa quello che fa, anche quando non lo sa: improvvisazioni lanciate nello spazio, groove e riffazzi seventies, suonini ultradimensionali, veramente un grandissimo show. peccato però che poi yob. di nuovo. peggio.
ma come peggio? sì. i suoni la seconda volta sono migliorati ulteriormente, con nostra meraviglia assoluta. questa volta il set è libero e viene suonato anche un nuovo brano, dall'ancora inedito leading the path to ascend. mentre the great cessation è un blocco unico e massiccio, la band in questo secondo set esplora tutte le sue dinamiche, rendendo l'assalto ancora più pesante quando arriva all'apice. una inutile quanto graditissima conferma della statura superiore di questo trio che sta finalmente raccogliendo i frutti più che meritati.

proviamo poi ad entrare nel cul de sac per carlton melton e dr.space ma la calca è notevole e il caldo ancora di più per cui ripieghiamo su una buona fetta dello show dei triptykon. carini, quadrati e metallosi, a me non dicono però lo show è di indubbia qualità. preferisco provare a chiudere in bellezza con gli harsh toke nella green room ma forse è troppo presto per loro e non me li godo come il giorno prima.

quindi giorno e festival vengono conclusi in compagnia dei lumerians, curiosa band di san francisco che si presenta in tunica bianca e maschera con occhi luminosi. 

nel buio e nella condizione mentale media fa sicuramente il suo effetto. poi la musica va a toccare più o meno qualsiasi cosa sia psichedelica, dal kraut all'elettronica al drone passando dagli anni 80 del paisley underground e quant'altro, senza mai perdere in coinvolgimento e spettacolo.

:(

come ho già detto, non ho alcun dubbio sul fatto che il roadburn sia il miglior festival che abbia mai visto. in italia una cosa del genere non la vedremo mai nemmeno di traverso, rassegnamoci.
di tutte le band che ho visto (26 se non erro), nessuna nessuna nessuna era scarsa. poi i gusti sono gusti ma tutta la gente che ho visto suonare sapeva fare il proprio lavoro e non era lì per caso o per pubblicità. l'organizzazione è impeccabile, ripeto, di tutti i gruppi ne ho visto uno solo fare ritardo e venire penalizzato per questo. la scaletta dei gruppi, pur con le sue ovvie sovrapposizioni, è stata impeccabile, dando sempre ampia scelta sul genere di concerto a cui assistere. le aree ristoro erano anche due per sala, più quelle esterne, e tutto era a prezzi buoni (a parte magari l'acqua a due euro…).

non so veramente cos'altro dire, se non ci andate non capirete, è qualcosa di assolutamente magico e da oggi in poi lo aspetterò ogni anno come il natale.