martedì 7 gennaio 2014

sepultura, "roots"


iniziamo l'anno con un bel disco spartiacque.
ogni genere ha i suoi, quegli album che cambiano il modo di intendere e suonare uno stile. il metal ha avuto i suoi, dall'omonimo black sabbath a master of puppets, da the number of the beast a reign in blood. roots rientra di diritto in questa categoria di dischi/colossi ed il perché è molto semplice: tutto il metal venuto dopo il '95/'96 doveva tenere conto di due nuovi punti di riferimento, roots dei sepultura e demanufature dei fear factory.

sicuramente l'ondata di schifezze che questo disco ha generato ha dato la nausea a chiunque ma questo punto di partenza era veramente perfetto per concezione.
l'impatto è uno dei punti cardine su cui tutta la musica "dura" si è sempre basata e i quattro brasiliani fanno tesoro di questa nozione; nel momento in cui avviene il legame con le loro radici native (max cavalera compì un viaggio nel mato grosso per incontrare la tribù xavante), con l'ingresso di devastanti arrangiamenti di percussioni questo accento sull'impatto è portato agli estremi (ben più di quanto abbiano mai fatto gli slipknot). fondamentale quindi l'apporto di un batteraio come igor cavalera, non certo il più preciso del mondo ma il suo andamento percussivo, secco e istintivo è esattamente quello che il disco vuole. sarebbe inutile su questo marasma cercare di incastrare i riff serrati e velocissimi dei precedenti album, quindi lo stile delle chitarre di fa fluido e spesso lento, concentrandosi di più sull'impatto (ancora) di un suono roccioso e cattivo, complementare al roboare del basso che fa da collante per il tutto.

metà delle canzoni sono ormai nell'immaginario collettivo del metallaro medio e assolutamente a ragione. se è vero che il tutto è basato sull'impatto, il miracolo di roots è di riuscire a servire queste badilate con canzoni a modo loro tremendamente catchy, trainate dalla vociaccia sbraitata di max cavalera.
la vena più violenta si incarna in pezzi come attitude, cut-throat, born stubborn, la grandiosa straighthate o dictatorshit, bordata hardcore di un minuto e mezzo che chiude l'album. ma è quando il gruppo osa che ne escono i miracoli, vedi ratamahatta o lookaway, delirante mostro percussivo la prima, abisso tinteggiato di psichedelia metal la seconda.
i pezzi meno conosciuti come spit, dusted o ambush non possono non far sorridere pensando al saccheggio di cui son stati vittime in seguito (ahemahemahemslipknotahemahem). 

non c'è dubbio che ci sia una determinante influenza da parte del suono korn in roots, lo testimonia anche la presenza di davis su lookaway. rispetto ai korn però i sepultura sono decisamente più metal, vengono dal death e si sente. sarà molto più evidente il legame con la band di davis nei soulfly, dove cavalera riproporrà per anni copie sbiadite di roots senza mai nemmeno sfiorare il livello eccelso di questo disco.


da qui in poi fioriranno centinaia di gruppi che faranno loro la lezione dei sepultura ma ad oggi nessuno è mai riuscito ad eguagliare i maestri (tantomeno loro stessi). in compenso le mode son passate e il 90% di quei gruppi sono stati dimenticati da chiunque. roots è ancora qui e ancora spacca culi come 18 anni fa.