giovedì 26 dicembre 2013

il 2013 e i dischi dell'anno (1978).



ammetto che quest'anno sono un po' in difficoltà nello scrivere questo articolo. non è che non siano usciti dischi belli, anzi, ce ne sono un bel po'. il vero problema per me è che nessuno di questi dischi spicca sugli altri in modo particolare. sicuramente se devo dare il premio finale a uno solo, quello sarebbe wilson ma…

I. dischi belli

partiamo da una carrellata generale dei dischi belli che non metterò in "classifica".
verso fine anno è arrivata una bella palata di roba: i sun and sail club han fatto un disco stupendo che sta a metà tra il metal di fine 80 e il classico suono stoner tra fu manchu e kyuss, in più con l'idea fichissima di cantare tutto in un vocoder, bravi bravi gini. poi a un certo punto son comparsi i sons of kemet che coi loro riff di tuba e i deliri percussivi dei due batteristi hanno colorato di tribale un jazz che è decisamente più fisico che cerebrale per una volta.
poi ci sono i due dischi "difficili" dell'anno che mi son piaciuti da morire ma nei quali ancora non son riuscito ad entrare come vorrei: ulver e these new puritans hanno scritto due opere fantastiche, la prima più legata alla tradizione classica, tra gorécki, mahler, colonne sonore e quel tocco di disagio che riporta quasi al caro scott walker, la seconda un'opera più "rock" ma che con l'apporto degli strumenti classici profuma di david sylvian lontano un miglio, oltre ai rimandi al primo post rock tra tortoise e bark psychosis. due disconi che vanno assolutamente sentiti.
nel mainstream cito ma non in classifica depeche mode e pearl jam, due dischi che confermano ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) che qualcuno non è ancora pronto per la pensione.
ho inoltre apprezzato molto tanto assai il disco di kristoffer gildenlöw che suona molto più pain of salvation degli attuali pain of salvation.
e poi il monumentale mbv, ritorno dopo qualche anno (22, cani) dei my bloody valentine ancora in forma come non mai, oppure welcome oblivion, ovvero l'opera riuscita di reznor del 2013, contrariamente a… 

II. dischi brutti

contrariamente a quella cagata offensiva e immonda che risponde al nome di hesitation marks. mi rifiuto di parlarne da tanto è il disagio e il fastidio che provo nei confronti di quel "disco" dei """""""""nine inch nails"""""""""". 
eppure può essere che la palma di disco più brutto dell'anno vada, senza troppi dubbi, a quel fondo di barile chiamato "album biango", ovvero il disco più brutto, sciapo e inutile dell'intera carriera degli elio, retto da singoli che non sono nemmeno canzoni, privo di idee e noioso come nemmeno cicciput riusciva ad essere (e questo è un insulto abbastanza brutto). se con studentessi avevamo sperato che fossero tornati ai bei tempi, qui l'illusione si spegne già al secondo pezzo. bravi, bella schifezza.
poi come già detto in passato, il 2013 è l'anno delle buffonate dei "queensryche", riusciti a splittarsi in ben due gruppi per registrare due dischi uno più brutto dell'altro (quello di geoff è peggio). per non parlare dei dream theater che ormai sembrano i muse che fanno cover di colonne sonore di walt disney o di lucassen che nel nuovo ayreon ricicla per l'ennesima volta le stesse soluzioni, stesse idee, stessa roba di sempre.
infine sono rimasto abbastanza deluso anche dai daft punk, singolo molto catchy ma disco che si arrotola su se stesso e non va da nessuna parte col suo revival forzato e alla lunga piatto e noioso.

III. top 10



veniamo alle conclusioni. ve li metto in elenco ma non prendeteli per forza nell'ordine in cui li metto, come dicevo faccio fatica a trovarne uno che spicchi nettamente.
quindi.

alice in chains - the devil put dinosaurs here

non è "black gives way to blue" ma la capacità che hanno gli alice di stare ancora in piedi dopo tutto questo tempo e le varie vicende è solo lodevole, soprattutto visto che sono riusciti a fare un disco con canzoni ispirate, sincere che funzionano perfettamente grazie anche ad un suono a dir poco gigantesco. 

nick cave & the bad seeds - push the sky away

dopo la sbornia di rocchenrol e baffi di lazarus e dei grinderman, nicola caverna prende quel suono asciutto e scarno e lo mette al servizio di pezzi morbidi e delicati, ben lontanti però dallo sfracellamento di maroni di "no more shall we part" o "nocturama", più vicini semmai a un incrocio fra i dirty three più leggeri e "murder ballads". c'è meno cave istrione ma l'atmosfera del disco è veramente sublime e gli arrangiamenti tra i migliori dell'anno.

ben harper & charlie musselwhite - get up!

per quanto ben harper mi abbia annoiato nella vita, ammetto che questo disco l'ho consumato quest'estate. blues cantautorale sporco ma elegante, graffiante ma educato, nero ma bianco. un disco che vive di contrasti nella sua semplicità, trainato dall'armonica di musselwhite che va dal corrosivo al poetico all'indiavolato in men che non si dica. 

carcass - surgical steel

come non parlare di questo ritorno sopra ogni più rosea aspettativa. da quando si son sciolti la gente ha provato in mille modi a ricreare quel suono, chiunque faccia metal gli ha rubato di tutto, migliaia di band li hanno presi come stella polare. loro tornano ridendo e scherzando, fanno i cazzoni hippie ma poi ti buttano lì un disco da strapparsi le mutande coi piedi. il suono è quello, l'attitudine anche, i riff sono centomila e sono uno più bello dell'altro, la voce non ha perso nulla di quell'abrasività unica ed inimitabile. sono i carcass e son tornati a fare quello che fanno meglio. meglio di tutti, s'intende.

queens of the stone age - …like clockwork

mi è partito un po' in sordina, è cresciuto col tempo e prima che me ne accorgessi lo sapevo già a memoria ed era fisso nell'autoradio. i qotsa sono riusciti finalmente a dare un degno seguito a songs for the deaf, dopo un paio di dischi che definire inutili è un eufemismo.
poi con batteristi come dave grohl e jon theodore, la garanzia di una sezione ritmica solida, fantasiosa e rotolante lascia homme libero di sciorinare riff su riff che vi faranno scapocciare un bel po'.

fates warning - darkness in a different light

forse più per affezione, forse più per paragone con i loro "simili" nel 2013, sta di fatto che questo disco, pur coi suoi difetti, è veramente bello. i fates riescono a riportare il loro suono cervellotico ad una potenza metal messa quasi alla base del disco, pur mantenendo e modellando l'approccio melodico che è sempre stato nel loro dna. il ritorno di aresti alla seconda chitarra e l'ingresso di jarzombek alla batteria garantiscono la potenza di cui sopra, lo stato vocale e la classe di ray alder fanno il resto.

black sabbath - 13

dopo tutto questo tempo, non poteva che essere bellissimo. i black sabbath hanno fatto quello che tutti noi volevamo, ovvero un disco dei veri black sabbath. i riffazzi di iommi brillano per impatto e ispirazione ma a brillare ancora di più è il basso di geezer, mai così in primo piano e protagonista di linee stupende con un suono che arriva dritto dritto in faccia. bravo ozzy che non prova cose che non può più fare, bravissimo brad wilk nel suo ruolo estemporaneo ma fondamentale. e poi le canzoni, anche quelle un pelo meno valide sono comunque lì a ricordare perché loro sono i black sabbath e tutti gli altri no.

dead in the dirt - the blind hole

21 canzoni per circa 25 minuti di musica. i dead in the dirt sanno dove stanno le giunture delle ossa e sanno dove colpire per rompervele tutte in poco più di venti minuti.
apertamente straight-edge, vegan e tutti i cazzi del caso, i dead in the dirt deflagrano in un grind decisamente imbastardito di hardcore, crust e momenti doom che non lascia il tempo di respirare, grazie anche ad una produzione sinceramente perfetta che conferisce una potenza disumana al trio, come se i converge si mettessero a fare cover dei napalm death insieme ai brutal truth.

correction house - last city zero

lo metto un po' a forza perché voglio ancora tempo per assorbirlo ma l'incubo messo in scena dai corrections house è indubbiamente degno di più di una nota. il contrasto fra le voci, in particolare di scott kelly e mike williams, mette i brividi ogni volta, la continua osmosi tra rock, hardcore, industrial, elettronica, ambient, drone e cantautorato desolante mette in mostra un'alchimia tra i musicisti che ha l'aria del miracolo, una sorta di versione metropolitana e lurida di quello che fecero gli shrinebuilder qualche anno fa.

steven wilson - the raven that refused to sing

mi fa incazzare mettere questo disco come ipotetico disco dell'anno. mi fa incazzare perché è un album ruffiano e paraculo, fatto apposta per piacere a chi vuole un certo tipo di cosa, con tutti i riferimenti del caso: dai più scontati (genesis, yes, king crimson, zappa) a quelli meno -ma neanche troppo- (gentle giant, magma e tutti gli altri), tutto viene frullato insieme in un vero e proprio vademecum del progressive in cui steven wilson diventa direttore della sua band di mostri (ulteriore paraculata) per dare vita alle sue canzoni. fin qui verrebbe da dire, bravi ma già fatto già sentito. verissimo, il problema è che le canzoni invece non le avevamo già sentite, e sono una più bella dell'altra. qui viene fuori il wilson autore, che con una sola melodia può creare lo spazio per qualsiasi contorsione strumentale possibile, ritmica o armonica. e in questo l'apporto di ogni singolo musicista è fondamentale: in ordine crescente abbiamo il nervosismo di minnemann, la solidità del basso di beggs, gli svolazzi melcollinsiani di theo travis, sia al sax o al flauto traverso, il gusto, tocco e suono di un chitarrista inarrivabile come guthrie govan e infine le dita magiche di adam holzman che lascia a bocca aperta con ogni tastiera ma quando mette le mani sul piano fa seriamente venire le lacrime.

IV. canzoni

ed ora, in ordine ad cazzum, un po' di canzoni bellebellebelle di quest'anno.

alice in chains - lab monkey
black sabbath - damaged soul
carcass - thrasher's abattoir
nick cave & the bad seeds - higgs boson blues
depeche mode - angel
fates warning - firefly
kristoffer gildenlöw - overwinter
pearl jam - sirens/pendulum
queens of the stone age - i appear missing
steven wilson - the holy drinker

V. dischi dell'anno

per finire, eccovi i miei 5 effettivi dischi dell'anno. come potrete facilmente notare, sono tutti molto recenti. il più giovane ha solo 18 anni.

neil young - live rust
king's x - gretchen goes to nebraska
tears for fears - the hurting
neil young - tonight's the night
toto - isolation

viva viva, rocchenrol, sesso, droga, alcol e qualsiasi altro stereotipo possiate pensare. ve li auguro tutti nel giro di soli 10 minuti se avete effettivamente letto tutto fino a qui. se no, come direbbe aristotele: "sticazzi."

yo.

martedì 3 dicembre 2013

nanodischi #9: novembre 2013




periodo di attività ai distant zombie warning, chiedo scusa per i pochi (nessuno) articoli. quindi prima del mega ricapitolone di fine anno, ecco più o meno cos'ho ascoltato in questo mese passato. circa. forse. forse no.


neil young - everybody knows this is nowhere/massey hall 1971

nel mio personale anno neil young, in quest'ultimo mese gli ascolti si sono ridotti a questi due dischi. il primo è un capolavoro folk rock che tutti dovrebbero conoscere, dall'eterna down by the river alla celebrazione elettrica di cowgirl in the sand, disco perfetto. 
il secondo è un live alla massey hall del 1971 con neil in solitaria che chiacchera col pubblico e presenta pezzi nuovi che finiranno su harvest e altri dischi futuri. atmosfera impagabile, live stupendo, ideale fotografia del lato intimo di young.


dead in the dirt - the blind hole

questo sarà sicuramente nella mia top 20 di fine anno.
21 pezzi, circa 19 minuti di disco. i dead in the dirt, straight-edge, vegan e cazzi vari, arrivano con un suono che sta tra i converge e i brutal truth, suonano cose che arrivano dai napalm death ed hanno un badile in mano che useranno per quei 20 minuti sui vostri denti. suoni perfetti, lerci e compressi alla perfezione. disco grind dell'anno e uno dei migliori da un bel po' di tempo, sta lassù con i burmese dell'anno scorso.


squallor

farò un bell'articolo presto sugli squallor. al momento mi preme ricordare al mondo che esistono e che sono il secondo gruppo più geniale che l'italia abbia mai conosciuto dopo gli area. gli elio e gli skiantos senza di loro non avrebbero potuto esistere come li conosciamo. oggi si fanno le canzoni stupide sul pop e x factor e cagate varie, gli squallor già vomitavano su tutta quella roba 40 anni fa ed erano tra i personaggi che quella roba l'hanno creata. (vi dicono nulla montagne verdi, luglio o nessuno mi può giudicare?)
capolavori come tromba, vacca, palle o cappelle non vanno dimenticati ma tramandati ai posteri come fulgidi esempi di come la volgarità e il turpiloquio possano diventare arte dissacrante ed eterna. e a pensare a quanta gente non li conosce soffro.
madonna carretera come soffro.


sun and sail club - mannequin

a me sinceramente i fu manchu non hanno mai detto granché. carini, simpatici ma piuttosto inutili per cui non mi ero interessato troppo a questo disco, se non per il fatto che è uno dei rari gruppi ad avere in formazione tre membri di cui due omonimi: scott reeder, ex batteraio dei kyuss, e scott reeder, attuale bassista dei fu manchu. tutto questo nasce però da bob balch, chitarrista dei fu manchu che si è ritrovato con dei pezzi scritti ma nessun progetto che potesse volerli. mentre cercava un cantante ha deciso di fare lui le voci con un vocoder. il risultato è semplicemente eccezionale: riff che svisano dai manchu ai kyuss ai voivod, metallica, slayer e quant'altro, con un tiro micidiale e la voce di mr.roboto per tutto il tempo. bellissimerrimo.

ayreon - the theory of everything

lungo, pretenzioso, annacquato, insipido, già fatto, già sentito. no grazie.


katatonia - dethroned and uncrowned


è una bella idea quella dei katatonia, esplorare il loro lato più intimo escludendo distorsioni e batteria e tenendo solo layer di chitarre acustiche, synth e la sempre estatica voce di jonas. personalmente però avrei apprezzato molto di più un disco di inediti scritti apposta per questa veste piuttosto che questo rimaneggiamento di "dead end kings" dell'anno scorso. che funziona anche eh, si ascolta volentieri e quando colpisce davvero lo fa bene (buildings, the one you are looking for, first prayer) ma poi alla fine se ho voglia di quei pezzi riascolto l'originale. bravi, bell'idea, ora fatelo davvero però.