sabato 24 marzo 2012

the mars volta, "noctourniquet"




è facile amare i mars volta, così come è facile odiarli. da un certo punto di vista sono molto simili ai tool: scatenano fanatismo e fan insopportabili ed hanno un sound ed un'immagine che o piace o non piace, non ci son cazzi.
a me, da quando li ho scoperti, son sempre piaciuti. a volte più, a volte meno ma li ho sempre difesi come uno dei pochissimi gruppi rock di oggi che veramente ha fantasia ed una sua precisa identità, oltre a una serie di sezioni ritmiche tra le più allucinanti sentite in tempi (più o meno) recenti (l'accoppiata john theodore-flea su de-loused in the comatorium è da iscrivere negli annali del rock).

i loro difetti li hanno sempre avuti: ogni tanto si perdono, non sempre hanno azzeccato un disco al 100% (a mio parere bedlam in goliath non vale quanto gli altri sebbene abbia dei momenti brillanti) e soprattutto cedric dal vivo fatica (molto) a cantare come sui dischi ma è anche vero che compensa con un'ottima presenza scenica e che sui dischi la sua voce è caratteristica imprescindibile del sound del gruppo.

tutto questo sbrodolamento di parole per arrivare poi al punto: noctourniquet è un capolavoro. mi sono chiesto a lungo se effettivamente valesse la parola (traduci: un sacco di pippe mentali) e alla fine, per una serie di motivi, nel mio stronzissimo e personale parere non ho dubbi.
questi motivi vanno su tutti i livelli: il suono è frutto di un mix particolarissimo e studiato nei minimi particolari, grazie anche all'uso pesante di elettronica per la manipolazione del suono con effetti in continuo movimento, riverberi che crescono e scemano, delay che impazziscono ed un continuo ondeggiare delle dinamiche che rende il disco vario e mai statico. gli arrangiamenti sono l'aspetto più psichedelico del disco, costruiti su accumuli di strati che vanno da lande spaziali desolate a muri di suono accecanti fatti di incroci di chitarre e synth sfavillanti (il termine tecnico è piruliruliru) che lasciano letteralmente senza fiato.
poi, il nuovo batterista deantoni parks, già con la omar rodriguez-lopez band, oltre ad avere un suono pazzesco, è completamente scemo. su questo disco ho sentito fare alcune delle cose più perverse che un batterista rock possa pensare, oltre a delle bellissime idee negli arrangiamenti.

questo per il versante tecnico. andando oltre, se già conoscete il gruppo rimarrete probabilmente piuttosto spiazzati (a me la prima volta ha sudato il cervello). questo perché, sebbene ora sia evidente come octahedron fosse un album di transizione, il disco è parecchio diverso da ciò a cui siete abituati a sentire da loro. i momenti psycho-heavy-funk sono molto dosati e non costituiscono quasi mai l'ossatura dei pezzi, a differenza dei primi 4 album. ci si trova invece davanti ad una folata psichedelica impazzita, sfavillante di mille colori e perfettamente coerente con l'orizzonte ubriaco della copertina. come se foste nella fabbrica di cioccolato con gene wilder (decisamente non con tim burton) fatti di acidi: colori, lo spazio e ovunque vi giriate non potete smettere di meravigliarvi.
tutti questi aspetti si incrociano poi per formare le effettive canzoni che compongono noctourniquet. dall'aciderrrrrimo ritornello di the whip hand passando per le melodie di aegis, gli sberluccichii di dyslexicon, il groove zoppo del beefheartiano (e splendido) singolo the malkin jewel e quello ammiccante della title-track o l'energia di molochwalker e zed and two naughts... e non vi ho detto le mie preferite! l'unico aggettivo che mi viene per empty vessels penso sia "celestiale", adagiata su una melodia morbida prima di aprirsi nel ritornello lacerato da una chitarra lercissima. e poi in absentia. per in absentia le parole invece, mi spiace, non le ho trovate. è il trionfo assoluto della psichedelia malinconica che solca l'intero disco, tra i suoi abissi insondabili e la disperata esplosione finale. indescrivibile. e quelle che non ho citato non è che son brutte, se no non parlerei di capolavoro. sono tutti tasselli assolutamente necessari per completare l'immagine finale.

quest'immagine ognuno la veda a modo suo. quello che io vedo è una delle ormai rare prove di sincera e geniuna vitalità del rock moderno. un progetto che non ha paura di evolversi e di fare quello che vuole, tramite una visione d'insieme invidiabile e capacità di scrittura ben sopra la media odierna. una creatività esplosa in pieno (di nuovo) in quello che è uno dei dischi che ho trovato più entusiasmanti negli ultimi anni e che sono sicuro ricorderò molto molto a lungo. se tutto ciò non fa un capolavoro, allora non ho capito veramente un cazzo della vita.
io ve l'ho detto, poi fate voi.