giovedì 26 gennaio 2012

litfiba, "grande nazione"



13 anni blablabla i litfiba senza piero blabalbla piero senza i litfiba. non è mai successo. chissenefrega. ariecco finalmente i litfiba.

devo dire che avevo paura, mi ci sono avvicinato con molti pregiudizi, nonostante sia fan del gruppo fiorentino da quasi 15 anni. e invece.
e invece "grande nazione" è un bel disco. non è un capolavoro, non è nemmeno avvicinabile a dischi come "terremoto" senza neanche parlare di "17 re" o "litfiba 3". quello che i due toscani hanno prodotto è un gran bel disco rock con tutti i marchi distintivi della premiata ditta. almeno a livello musicale il disco soddisfa e diverte, peccato per almeno metà dei testi che invece risultano banali, semplicisti e forzatamente "contro". inni da stadio scritti in quanto tali insomma, pronti per essere sbraitati dai fan ai concerti. se però si riesce a passare sopra a questo aspetto si può scoprire un disco ruvido e aggressivo, forte anche di una produzione davvero ottima che nel mix tiene ovviamente piero e ghigo in primo piano ma non relega il resto del gruppo a semplice sottofondo.

"fiesta tosta" (gesù...) è l'inizio ed è subito veloce, cattiva e dannatamente rock, così come il primo singolo "squalo", invero uno dei pezzi meno riusciti del disco. momenti alti ce ne sono, dalla divertente "tutti buoni" (con tanto di votantoniovotantonio in conclusione) al midtempo di "elettrica", con climax nella terremotiana "grande nazione", con un testo finalmente degno di nota, e nella conclusiva "la mia valigia", il pezzo più litfiba di tutto il disco che non avrebbe sfigurato su uno dei grandi dischi degli anni '90 (quindi non "infinito").
i momenti bassi non mancano: "tra te e me" si trastulla col gioco di lettere del titolo ma presto diventa stucchevole seppur non brutta, la già citata "squalo", troppo banale soprattutto sul versante lirico, o "anarcoide", quasi punk nella sua aggressività ma rovinata da un testo che è pura demagogia.

quello che resta alla fine è comunque un buon disco, coi suoi alti e bassi ma in generale tirato e divertente, il che aiuta molto a soprassedere su quei 4-5 testi quasi inaccettabili. avevo paura ma mi hanno smentito, divertito e lasciato con molta più tranquillità di quanta ne avessi dopo il primo ascolto di "infinito". per fortuna il suo corpo ha smesso di cambiare. ora è diventato jack sparrow.

domenica 15 gennaio 2012

2011

siccome non ho alcuna voglia di farne una classifica, vi consiglierò alcuni dischi del 2011 in ordine acdc. (a cazzo di cane)
quindi.

the devin townsend project - deconstruction/ghost



il perché lo capite leggendo le recensioni da qualche parte qui sul blog. il concetto di fondo è che l'amico canadese ha una visione d'insieme dei suoi progetti che è pazzesca, una capacità di scrittura e arrangiamento uniche ed un suono inconfondibile. il tutto viene in questi due dischi portato agli estremi, nella violenza e complicazione parossistica (paroloni!) di deconstruction e nella placida tranquillità di ghost.


chris bathgate - salt year



potrei dirvi che il disco è una raccolta di canzoni tutte bellissime, che gli arrangiamenti sono sempre fantasioni e bizzarri senza mai essere pacchiani o duri, che il suono naturale e fisico di questo disco è spettacolare. potrei. la verità è che quello che colpisce nello stomaco è la voce di chris bathgate. il timbro pieno e caldo del ventinovenne dell'iowa è di quelli che lasciano il segno ed è perfettamente a suo agio in queste composizioni che sanno di tradizione americana reimmaginata in un contesto più "da camera". di tanti cantautori che affollano il mondo, questo è uno da ascoltare assolutamente. probabilmente il mio disco dell'anno.


tom waits - bad as me



non che avessi particolari dubbi, intendiamoci. lui non sbaglia. anche quando si adagia su sé stesso (vedi blood money o, in misura minore, alice) non riesce a sbagliare. però uno può aspettarsi che alla sua età e con la quantità di roba che ha fatto possa uscire con un disco così così. non è successo. bad as me è tom waits al 100% dalla prima all'ultima nota, se vogliamo possiamo dire che non spiazza ma la qualità di tutte le canzoni contenute in esso è talmente alta da far dimenticare qualsiasi critica. sono tutte belle, dal bluesaccio di raised right man alle luci soffuse di everybody's talking, passando per le "solite", incredibili ballate come back in the crowd coi suoi profumi messicani o la toccante last leaf cantata in coro con keith richards fino all'inferno di hell boke luce. nulla da dire. un disco a suo modo perfetto.


dead skeletons - dead magick



vi piace lo shoegaze? vi piace la psichedelia? vi piacciono i suoni buffi, i jesus and mary chain, i primal scream o i primi remix dei depeche mode? se la risposta è sì, DOVETE sentire questo disco. gruppo di islandesi che ha preso possesso delle utenze su youtube con video allucinanti, perfetti compagni per il trip acido che il disco propone. come se gli electric wizard perdessero la componente doom e ne rimanesse l'ossessività mantrica della ripetizione fine ad un'alterazione del proprio sentire. un sacco di paroloni che non vogliono dire un cazzo, in buona sostanza questo disco è un trip grandioso, rollatevi quel che volete e poi alzate il volume, non ve ne pentirete.


steven wilson - grace for drowning



steven wilson ne ha fatta di roba nella sua vita. solo con gli album in studio di tutti i suoi progetti si supera la trentina, se poi si aggiungono live, ep e progetti estemporanei c'è da diventare scemi. per questo si rimane a bocca aperta nel constatare che grace for drowning è, a livello di composizione, arrangiamento e mix, il suo lavoro di maggior spessore. la densità del lavoro va di pari passo con la sua durata, 83 minuti spalmati su due dischi, che non deve però spaventare l'ascoltatore (lo stesso wilson consiglia l'ascolto separato dei due dischi e non di fila). in generale c'è sicuramente un'influenza molto più marcata dei primi king crimson ma nelle dodici tracce di cui è composto il disco sentirete di tutto, dal progressive alla psichedelia all'elettronica passando per tenui ballate pianistiche. un lavoro a suo modo enciclopedico ma non per questo di minor valore. capolavoro.


opeth - heritage



watershed è stato veramente una delusione. ora possiamo dirlo senza paura, il suo manierismo, la sua svogliatezza e pochissima spontaneità minavano il terreno anche quando le composizioni erano di buona fattura (2-3 canzoni in tutto il disco). heritage ci restituisce degli opeth (o meglio, un mikael akerfeldt) disposti a rischiare su più fronti. prima e più evidente caratteristica è l'abbandono del growl nella voce e il lampante miglioramento della tecnica vocale di mikael. poi il suono del disco, parecchio lontano dagli stilemi del metal, più vicino all'hard settantiano, perfettamente adatto alle atmosfere del disco, che ancora più del solito va a pescare nell'oscurità del prog minore di quel periodo. al contrario di quella cagata immane di damnation, qui il risultato funziona eccome e siamo ben felici di accogliere quello che è probabilmente il disco più sincero degli opeth dai tempi di blackwater park. bentornati.


three - the ghost you gave to me



non è facile fare quello che fanno i three, per un cazzo. una formula che riesca ad incorporare durezze metal, partiture prog, atmosfere schizofreniche e ritornelloni al limite del pop non è cosa che capita tutti i giorni. tanto meno se il tutto funziona alla perfezione, come nel caso del quintetto americano e di questo loro quinto (sesto, se si conta revisions) disco, successore di un lavoro coi controcazzi come the end is begun. qui il suono dei three viene portato al suo massimo in ogni aspetto, eppure tutto risulta ancora meglio amalgamato in un'unica pasta sonora che lascia a bocca aperta grazie a pezzi da cento come sparrow, high times, numbers o pretty (con tanto di ritornello dance). per riferimento si può dire che se vi piacciono i Rush qui andate sul sicuro, la verità è che se vi piace il vostro rock con un po' di cervello difficilmente non vi innamorerete.


three trapped tigers - route one or die



scoperta tardiva del 2011, tanto che promette già di colonizzare il mio 2012, route one or die è il primo disco intero di questo gruppo inglese dedito a ciò che viene definito math rock. il parallelo che viene più facile fare è con i battles ma, a differenza del supergruppo americano, i ttt risultano molto più "suonati" e fluidi su disco. mentre infatti i battles lavorano molto su loop ciclici, intersecandoli in strutture che per approccio ricordano più l'elettronica che il rock, il trio londinese adotta strutture e suoni decisamente più sporchi e live, lasciando che il sudore scorra per tutta la durata del disco. ci sentirete i king crimson come i tangerine dream come gli ozric tentacles ma il tutto in salsa decisamente più acida e noise, con muri di suono che possono far venire in mente lo shoegaze primigenio più casinista. e, in tutto questo, vi divertirete come dei matti.


decemberists - the king is dead



il gruppo di portland scarnifica il proprio suono di tutti gli orpelli che avevano fatto brillare the hazards of love di una luce tutta sua e torna ad una semplicità che, se non stupisce, incanta nel suo svolgersi tra melodie d'effetto e arrangiamenti asciutti ma mai banali. la classe di un musicista come peter buck si fa sentire quando il chitarrista dei rem entra in gioco, creando almeno uno dei capolavori del disco (down by the water). il resto lo fanno i piccoli affreschi acustici di june hymn e january hymn o le forti infiltrazioni di tradizione americana in rox in the box e soprattutto all arise! che alleggeriscono l'ascolto senza per questo allontanarsi dal discorso generale del disco.


non sto a dire che anche gli altri dischi di quest'anno che ho già recensito sono secondo me tutti belli, in particolare yun lurn dei burmese (disco estremo dell'anno coi gigan), i foo fighters (disco autoradio dell'anno) e i pain of salvation (perché sì.).
questi altri invece, in nessun ordine particolare, mi sono tutti piaciuti.

- mastodon - the hunter

- earth - angels of darkness, demons of light 1

- luup - meadow rituals

- obake - obake

- treni all'alba - 2011 ad

- yob - atma

- chris watson - el tren fantasma

- my dying bride - the barghest o' whitby

- primus - green naugahyde

- blackfield - welcome to my dna

infine, il premio per peggior disco dell'anno quest'anno coincide anche con quello per peggior disco del decennio e di un'intera carriera ed ovviamente va a quella sublime opera d'arte che è illud divinum insanus dei "morbid angel" (virgolette dovute). dire che è una vergogna è fargli un complimento. altre sòle notevoli sono: lou reed che rovina un disco dei metallica, impressions dei lunatic soul, l'omonimo degli evanescence e l'anonimo dei symphony x. senza dimenticare a dramatic turn of events dei dream theater, innocuo ed inoffensivo nei suoi momenti migliori.
divertitevi.