venerdì 22 luglio 2011

pure reason revolution, "the dark third"



i pink floyd sono stati una delle cose più belle mai successe alla musica rock. i pure reason revolution gli assomigliano. non ho scoperto l'acqua calda, questo è poco ma sicuro, ma il bello è che gli assomigliano anche per concetto. non si fermano a recuperare stilemi del passato e risuonarli oggi come fanno troppi gruppi ma provano a portarlo avanti. prendono quel suono poco influente nella storia della musica che è stato di "the dark side of the moon" e non solo lo trasportano nel 2007, ma ci giocano sopra con originalità, inventiva ed umiltà (cosa quest'ultima che ogni tanto è mancata anche ai floyd stessi). il risultato è sorprendente. la peculiarità forse massima del suono PRR è la loro capacità di creare linee melodiche già di per sé da urlo, armonizzandole continuamente a più voci. cori incredibili ma anche meravigliosamente cantabili ed immediati danno vita a ritornelli come quelli di "goshen's remains", "apprentice of the universe" o "bullits dominae". tutto questo viene condito con arrangiamenti spaziali mai eccessivamente oscuri o pesanti e di gran gusto dal gruppo (in formazione anche un violinista che ha inciso tutte le parti orchestrali) con sonorità che rimandano sicuramente a quelle dei pink floyd ma con un suono smaccatamente moderno e personale. riff metal che si alternano ad arpeggi dilatati e parti di batteria acustica inframezzate da spezzoni di drum-machine mai invasiva (se non diventa dominante) o pesante, ispirata agli ultimi esperimenti dei radiohead se vogliamo ma in un contesto totalmente diverso. su tutto spicca la splendida voce di chloe alper, sirena drogata e lanciata nell'iperspazio nel dormiveglia, perennemente trasognata e delicata, che guida i cori armonizzati dal chitarrista e mastrocostruttore del gruppo jon courtney e da tutto il resto del gruppo (tranne il batterista, fratello di jon).

la sublimazione di tutto ciò che ho detto può certamente essere vista nei 12 minuti di “the bright ambassadors of morning”, titolo rubato da un verso del testo di “echoes”, indimenticato capolavoro dei floyd. la canzone è in continuo movimento, striscia tra sentieri galattici con linee vocali costruite in maniera incredibile (memori anche di qualche lezione dei queen) in cerca di un modo di insinuarsi nel cervello, cosa che prontamente succede nel "ritornello" che non vi si staccherà più dalla testa.

margini di miglioramento ci sono, più che altro nella maturità degli arrangiamenti, forse un po’ ingenui talvolta (ma anche splendidi per questo) e magari in un maggiore gioco armonico dei pezzi (nonostante il gioco melodico costante delle voci faccia passare in secondo piano un “difetto” come questo).

un capolavoro? dipende cosa intendete con questo termine. non cambierà la storia della musica, è solo questione di lasciarsi andare al flusso sonoro, abbandonarsi completamente al sogno (dimenticavo, pure reason revolution=critica alla ragion pura di kant, che elaborò la teoria del “terzo oscuro”, quel terzo della nostra vita che passiamo dormendo e su cui è basato il concept del disco).